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Stars - The Five Ghosts, l'eldorado canadese non delude mai

By martchelo on mercoledì, settembre 29, 2010

Gli Stars fanno parte di quell'Eldorado musicale rappresentato dalla scena canadese degli ultimi 10 anni. Attivi dal 2000 fanno tutti parte anche dei Broken Social Scene, il celebre collettivo indie-rock dei musicisti dalla foglia d'acero. Li scopro tardivamente solo oggi, con una decina d'anni di ritardo.
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Paul Simon - Concert In The Park, un capolavoro live di world-folk music [5/5]

By martchelo on martedì, settembre 21, 2010

Nel 1991 quel piccolo (di statura) genio folk di Paul Simon raggiunse l'acme del proprio percorso musicale con uno strepitoso concerto a Central Park. La celebrità, Paul Simon, come saprà chiunque, l'ottenne in compagnia di Art Garfunkel, lui si un vero genio: senza comporre canzoni né suonare ma limitandosi a delle graziose seconde voci divenne una star internazionale... Simon&Garfunkel durarono relativamente poco, 6 anni e 5 album cui seguì, nel 1982 The Concert in Central Park. Ecco, in questa recensione non parlo di quell'album, bensì di Concert in the Park registrato dal solo Paul Simon (che magari avrebbe anche potuto pensare a un titolo che si differenziasse un po' di più...) nel 1991. Questo live è l'ideale conclusione del tema etnico iniziato nel 1986 con la pubblicazione di Graceland, un vero capolavoro di world music, magistrale per livello compositivo e arrangiamenti, per la magica commistione dei suoni africani col folk bianco di Paul.
Ascoltando il concerto non si può non ammirare l'eccezionale interpretazione delle canzoni di Graceland e non rimanere colpiti dalla rivisitazione di alcuni grandi classici di Simon&Garfunkel come Me and Julio Down by the Schoolyard o Bridge over Troubled Water tanto per citarne un paio. E dire che io normalmente detesto le rivisitazioni ...
E detesto anche le sovraincisioni. Ma ascoltando questo doppio cd io spero che ce ne siano, e che siano parecchie. Perchè altrimenti non riuscirei a spiegarmi come possano aver suonato live, con una qualità pazzesca, arrangiamenti complessi e con un gusto musicale fatto di contrappunti, ritmiche, assoli, seconde e terze voci cha lascia a bocca aperta. Da riscoprire.
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Tired Pony - The Place We Ran From, un hobbit-CD?

By martchelo on giovedì, settembre 16, 2010


I Tired Pony sono un super-gruppo e The Place We Ran From è il loro primo album. Ma che cos’è un super-gruppo? Cosa si intende con questo termine? Guardando su Wikipedia, troviamo scritto: “...un gruppo musicale composto da musicisti particolarmente celebrati per il loro talento tecnico e in genere già divenuti famosi in altri gruppi...”. Non so perchè, ma mi vengono subito in mente i Traveling Wilburys: George Harrison, Bob Dylan, Tom Petty, Roy Orbison e qualcun’altro che non ricordo. Si sa, i supergruppi spesso muoiono giovani e anche i T.W. ebbero vita breve: due anni tra il 1988 e il 1990. Ma Gary Lightbody, voce degli Snow Patrol e mente pensante della nuova creatura, assicura che il progetto Tired Pony non sarà un operazione estemporanea. Questo mi rende fiducioso e propenso a considerare il tutto con maggiore attenzione. Il mix di artisti che compone il gruppo è piuttosto curioso. Oltre al già citato Lighbody ci sono anche: Peter Buck (chitarra dei REM), Richard Colburn (batteria dei Belle And Sebastian) e Scott McCaughey (non so cosa dei Minus 5). Contribuiscono alla causa in due canzoni anche Zooey Deschanel (attrice-cantante hollywoodiana) e Tom Smith (vocione dei benemeriti Editors). Mi preparo psicologicamente all'ascolto leggendo blog e siti specializzati vari e dopo pochi clic mi sono già fatto un idea: Americana! Questa è la chiave di ascolto. Pigio play e quello che sento è, in effetti, un album country rock, che si fa ascoltare volentieri sin dalle prime note. I Pony giocano subito con un pathos epico un po' facile, ma efficace e l'album parte con una manciata di canzoni che ti entrano subito dentro. Easy listening di qualità!!!! Mi ingolosisco e attendo ogni canzone con crescente curiosità. I pezzi volano leggeri tra crescendo che hanno sonorità a tratti più country e in altri momenti più pop-rock. Tutto bello fino in fondo? Purtroppo no. La magia si interrompe inspiegabilmente con l’attacco della traccia 5. La ballatona soporifera, Held in the Arms of Your Words, abbiocca un po’ l'abum, e apre la pista ad una serie di canzoni sottotono. Scavo, riascolto nella vana speranza, ma non c'è nulla da fare: la magia se n'è andata. Nella seconda parte del CD salvo solo due pezzi che superano, di poco, la linea di galleggiamento: I Am the Landslide (cantata alla Neil Young) e The Good Book (cantata bene da Smith). Un mezzo album? Un Hobbit-CD? Ne aveveno solo per 5 tracce? L’altra metà del fluido vitale l’hanno messa al servizio dei loro gruppi di provenienza? Peccato, perchè i Pony sembrano essere in grado di scrivere canzoni che funzionano. Lunga vita a loro, quindi, nell’attesa della seconda parte di The Place We Ran From o di un nuovo LP intero.
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Isobel Campbell & Mark Lanegan - Hawk, il duo più ruffiano del mondo indie

By martchelo on martedì, settembre 14, 2010

Isobel Campbell e Mark Lanegan sono, a loro modo, 2 icone del mondo indie, all'interno del quale appaiono essere decisamente mainstream. Non che sia importante, ma è evidente che l'unione di 2 artisti così noti e così apparentemente diversi non possa passare inosservata. Hawk è il terzo capitolo della loro collaborazione e segue il bellissimo esordio Ballad of the Broken Seas (un piccolo capolavoro) e l'opaco Sunday at Devil Dirt (scialbo seguito).
La bella e la bestia, il diavolo e l'acqua santa, sono tra le mille possibili immagini evocative dell'abbinamento tra l'eterea voce di Isobel e il timbro baritonale di Mark. A queste aggiungerei un bel "manieristico". Diciamocelo, questa è un'operazione di una ruffianeria totale, fatta per piacere proprio perchè ha caratteristiche tali che non può non piacere: l'atmosfera ovattata, i toni morbidi, la classe che i 2 elargiscono a piene mani. Ma è proprio la prevedibilità di quest'operazione a rendere Hawk debole e privo di lampi. Quanto Ballad of the Broken Seas miscelava questi ingredienti "piacioni" con spunti melodici di prim'ordine, tanto Hawk è normale e privo di spunti in grado di sorprendere.
Ammirazione per il talento dei 2 (ma Mark Lanegan ogni tanto sembra prossimo all'asma da quanto "scalda" la voce) ma anche delusione, perchè non bastano ottimi ingredienti per ottenere un grande risultato, ci vogliono anche le canzoni.
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Sleepy Sun - Embrace e Fever, sostanzialmente inutili e anche un po' noiosi

By martchelo on venerdì, settembre 10, 2010

Rock psichedelico da San Francisco, California, echi degli anni 70 e una spruzzata di attualità: questo offre la musica degli Sleepy Sun. Avete presente il filone nostalgico hard rock dei bei tempi che furono? La band americana rientra in pieno in questa categoria, ricordandomi soprattutto i Black Mountain per parlar dei contemporanei, tralasciando gli infiniti rimandi a gruppi del passato.
Cosa hanno di originale o interessante gli Sleepy Sun? Niente.
Embrace e Fever, i 2 album ad oggi pubblicati dagli Sleepy Sun, rimandano senza particolari velleità ai seventies, riproponendo formule note, sfoggiando 2 voci piacevoli e una produzione attenta. Ma se in altri gruppi la citazione è capace di affiancarsi alla freschezza questo purtroppo non accade con gli Sleepy Sun: i 2 album (più o meno allo stesso modo) sono sostanzialmente inutili e anche un po' noiosi.
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Menomena - Mines, l'inconsueta grandezza dell'indie-rock sperimentale

By martchelo on venerdì, settembre 03, 2010

Non è facile descrivere i Menomena, band statunitense giunta al quarto album con questo Mines. Provate a immaginare una band pop-rock, togliete l'easy listening (anche se non del tutto), arricchite con contaminazioni a piacere, introducete linee melodiche accattivanti quanto insolite, arrangiamenti mai banali, melodia e sperimentazione. Chiaro?
Mines è senza dubbio l'album più bello e riuscito dei Menomena, quello in cui il trio guidato da Brent Knopf riesce ad esprimere nella maniera più compiuta la proprie potenzialità.
Mines è infatti un album pieno di buona musica e di idee, ricco senza essere inutilmente sfarzoso, e merita l'ascolto. Raccomando però un approccio cauto, soprattutto se non siete abituati a questo tipo di canzoni, ricche di momenti inconsueti (talvolta viene però da chiedersi: ma perchè introdurre queste complicazioni quando il brano stava in piedi anche senza tali stramberie?). L'inconsueto, insomma, richiede di pagare un prezzo; nel frattempo ascoltatevi Dirty Cartoons, splendidamente malinconica.
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Male Bonding - Nothing Hurts, punk-rock d'altri tempi (e quindi perché lo suonano così nel 2010?)

By martchelo on mercoledì, settembre 01, 2010

Dei Male Bonding ho letto molto e bene, dunque li ho ascoltati non senza qualche aspettativa. L'indie-rock vive di novità, di "next-big-think" e, insomma, il solito mix di amenità che scatena la curiosità degli appassionati.
I Male Bonding non hanno nulla di vagamente nuovo da dire. Non che sia fondamentale aver qualcosa di nuovo da dire, ma far intravvedere una strada personale alla musica, quello si che è importante.
Nothing Hurts ricorda tanti album e altrettanti gruppi del passato e tra questi trovo molto dei Ramones.
I 3 londinesi ci propinano il classicissimo wall-of-sound, in fondo al quale si coglie, più o meno vagamente, la voce (del tutto anonima) del cantante.
Per quanto riguarda la costruzione dei pezzi nulla da segnalare, siamo in pieno nel già-sentito già-scritto ma-perchè-lo-rifanno. Questo album, se non si fosse capito, non m'è piaciuto per nulla. Non escludo però che qualche nostalgico del punk-rock che fu possa apprezzarlo. Almeno in parte.
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