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10 Best 2011 Albums

By martchelo on giovedì, dicembre 29, 2011

Cari i miei 3 lettori che come ogni anno chiedete a gran voce di sapere quali sono stati i migliori album degli ultimi 12 mesi: eccovi accontentati! Il 2011 è stato un anno discreto ma non eccezionale dal punto di vista musicale. Sia pure a corrente alternata non sono però mancati album degni di nota. Ecco la classifica dei top ten album di Manta Ray (e i premi speciali della giuria - inventati di sana pianta per dare spazio a altri 4 album):
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My dear 3 readers surely want to know what were the best albums of the last 12 months: here they come! 2011 was a decent but not great year from a musical standpoint. But we listened to a few albums worthy of note. Here is the ranking of the top ten albums judged by Manta Ray (and the special jury prizes - invented out of whole cloth to make way for another 4 albums):
  1. The Decemberists - The King is Dead 
  2. PJ Harvey - Let England Shake 
  3. mr Gnome - Madness in Miniature
  4. Lykke Li - Wounded Rhymes
  5. Veronica Falls - Veronica Falls
  6. Peter Murphy - Ninth 
  7. Zola Jesus - Conatus
  8. Joseph Arthur - The Graduation Ceremony
  9. Okkervil River - I Am Very Far
  10. Portugal. The Man - In the Mountain, In the Cloud
Special 80s Revival Prize
Special New Skin Prize
Special ComeBack Prize

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Zola Jesus - Conatus [4/5]

By martchelo on mercoledì, dicembre 28, 2011

Zola Jesus (Emile Zola + Jesus Christ, tanto per tenere un profilo basso) è un'artista per chi ama esplorare gli angoli bui e sa apprezzare la bellezza del crepuscolo. La ricchezza della sua pagina su Wikipedia fornisce un'idea dell'impatto che Zola Jesus sta avendo sulla musica contemporanea (tra mainstream e sperimentazione) nonostante abbia pubblicato il suo primo album poco tempo fa, The Spoils è infatti del 2009.
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Rich Aucoin - We're All Dying To Live [2/5]

By martchelo on martedì, dicembre 27, 2011

Non si tratta di non volersi uniformare o di voler fare il bastian contrario a tutti costi ma We're All Dying To Live, disco d'esordio del canadese Rich Aucoin, mi pare che goda di una fama e di un successo di critica di gran lunga superiore alle sue qualità. Il 2011 è stato un anno duro per gli amanti della musica, sono stati infatti pochi gli album che si sono elevati sopra la media ed è quindi facile capire come tutti siano alla ricerca di qualcosa da promuovere come "straordinario" in questo finale d'anno.
Anche OndaRock, mio puntuale riferimento, elogia Rich Aucoin premiandolo addirittura come "disco del mese"! Tutto sempre accompagnato dai puntuali numeri che ricorrono in ogni recensione: la copertina di We're All Dying To Live ricorda da mooolto vicino quella di Illinois di Sufjan Stevens, quasi 3 anni di lavorazione e 500 musicisti coinvolti per non-so-quanti minuti di musica cantata e strumentale.
Bene, fantastico.
Il problema non sta nei numeri ma nell'assenza di straordinarietà. La premessa è semplice: la capacità di giocare con più generi musicali all'interno di un album non è più un fattore di sorpresa da tempo, nè tantomeno motivo di agitazione o entusiasmo. Cioè chissenefrega se Rich Aucoin cita 200 band e salta dal disco-club all'art-pop. We're All Dying To Live è un disco ricco di idee ma raramente se non mai straordinario, delle sue 1000 facce non ce n'è una che brilli di una luce tale da abbagliare. E io preferisco essere abbagliato da una luce violenta che mediamente illuminato da 1000 flebili lampadine. ========================================================================
It is not about being a contrarian at all costs, but We're All Dying To Live, debut album of Canadian Rich Aucoin, it seems to me that enjoys an excellent reputation and a great critical success far superior to its quality. The year 2011 was a tough year for music lovers, in fact, only a few albums were high above average; so it is easy to see how everyone is looking for something to be promoted as "extraordinary" in this year's final. Lots of sites promote Rich Aucoin's debut album, every review always accompanied by precise numbers: the cover of We're All Dying To Live closely resembles that of Sufjan Stevens's Illinois , nearly 3 years in the making and 500 involved musicians for I-don't-know-how-much minutes of sung and instrumental music.
Well, great.
The problem lies not in numbers but in the absence of extraordinary qualities. The premise is simple: the ability to play multiple musical genres in an album is no longer a surprise by a lot of time, nor does it cause for excitement or enthusiasm. I mean: who cares if Rich Aucoin cites 200 bands and moves from disco-club to art-pop? We're All Dying To Live is an album full of ideas but rarely if ever extraordinary, none of its 1000 faces shines a dazzling light. And I'd rather be dazzled by a bright light that lit up by an average of 1000 faint light bulbs.
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