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Del perché il testo delle canzoni nella musica leggera è un'inutile necessità

By martchelo on martedì, agosto 31, 2010

Dibattevo l'altro giorno con un mio amico sull'importanza dei testi per quanto riguarda le canzoni di musica leggera: pop, rock, folk, disco e quant'altro. Mi sono applicato con una certa passione nel tentativo di fargli cambiare idea, lui convinto assertore della centralità dei testi.
Allargo quindi a tutto il mio pubblico (cioè il mio amico stesso più qualche sventurato capitato per caso su Mantaray) il mio ragionamento.


  1. la musica è emozione, istinto: le cose che ci colpiscono quando ascoltiamo una canzone sono la melodia, il mix sonoro, gli strumenti e le voci. E' una reazione istintiva e non mediata quella che ci porta al gradimento o meno di un brano.
  2. per cantare serve un testo: al centro di qualsiasi pensiero musicale c'è la musica stessa, tuttavia è necessario avere qualcosa da cantare, il testo è una necessità prima che un'esigenza.
  3. ma questo qui ha qualcosa da dire? i testi delle canzoni sono i più diversi e disparati (anche disperati talvolta) e chiariscono velocemente il fatto che l'artista in questione abbia qualcosa da dire oppure no. Una mia approssimativa analisi mi porta a dire che circa il 90% (stima approssimata per difetto) degli artisti non ha nulla (di interessante) da dire.
  4. Il mio cantante preferito è bravissimo: una volta superata la sfera istintiva, quella che determina il vero gradimento, subentra la noiosissima sfera analitica del nostro intelletto. Ovvero ci mettiamo ad analizzare ciò che canta il nostro campione per poi amarne le scelte confondendo il ragionamento con l'emozione. Capita così di ascoltare persone lodare il loro idolo per la profonda sensibilità sociale, altri invece elogiare il raffinato non-sense dei testi del loro gruppo preferito. Tutto ciò è un abbaglio, è la razionalizzare di una reazione di puro piacere melodico.
  5. Thanks God, I'm Italian: fortunatamente sono italiano e posso godere delle meraviglie della musica anglosassone (ovvero della qualità migliore di quel popolo). Ascoltare i capolavori della musica inglese e americana prescindendo dai testi è un privilegio fantastico che ci permette di gustarne appieno le qualità musicali senza doverci sorbire i testi. Per intenderci, buona parte del repertorio della band più universalmente amata della storia della Musica, i Beatles, non brillano certo per le qualità letterarie...
  6. Alcuni artisti dicono di scrivere prima il testo e poi la musica: è vero ma sono una minoranza e alla fin fine si tratta di un aspetto secondario, il testo può anche essere bellissimo ma se la canzone non lo è lo sforzo creativo sarà del tutto inutile.
  7. Ascolto il gruppo tal-dei-tali perchè scrive dei testi bellissimi anche se le musiche sono brutte: chi mai direbbe qualcosa di simile? A me viene in mente solo un'artista i cui testi erano talmente belli da poter prescindere dalle musiche, Fabrizio De André. Quando, a fine carriera, fu affiancato dal figlio e da altri eccellenti musicisti raggiunse l'acme della sua produzione perché unì alle sue liriche un supporto musicale adeguato.
  8. Nella musica folk o cantautorale il testo è importante: innegabile, perchè questi 2 generi musicali discendono direttamente dalla tradizione dei cantastorie. Tuttavia da quando sono stati accesi gli amplificatori e la musica da acustica è diventata elettrica (per non parlar dell'elettronica) i suoni hanno prevaricato le parole (pur con qualche ragionevole eccezione).
Potrei andare avanti ma non mi pare il caso. Insomma ben vengano dei bei testi e degli artisti che abbiano qualcosa da dire, ma ricordate: al centro c'è la musica, il resto è un (più o meno) piacevole contorno.

p.s.: risposta preventiva a chi citasse il rap come esempio di musica in cui l'importanza dei testi è preponderante. Si tratta di un grave errore, il rap non è musica, è un telegiornale con una base ritmica.
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Swan Lake, Sunset Rubdown, Destroyer, Frog Eyes: quando la moltiplicazione dei talenti si rivela un fallimento

By martchelo on venerdì, agosto 27, 2010

Swan Lake, Sunset Rubdown, Destroyer, Frog Eyes (più altri che per brevità e pigrizia non cito), per chi non li conoscesse, sono gruppi o supergruppi (sic!) che appartengono alla fertilissima scena indie-rock canadese e vedono la partecipazione a vario titolo di musicisti talentuosi come Dan Bejar e Spencer Krug.
In questi giorni ho riascoltato alcuni di questi album, che ho sempre tenuto un po' da parte dicendomi: li ascolterò poi, con più calma.
In maniera se vogliamo un po' semplicistica ho deciso di raggruppare in unico post gruppi e progetti diversi tra loro ma in qualche modo legati dalla sensazione che mi danno quando li ascolto: frustrazione! Una grande frustrazione per lo spreco che questi artisti stanno facendo del loro talento. Per sommi capi il mio ragionamento è questo: se l'artista X ha un certo potenziale e sceglie la band giusta e dedica alla stesura delle canzoni l'attenzione adeguata scremando tutto ciò che non raggiunge un livello qualitativo significativo, probabilmente otterrà dalla propria vita artistica il massimo possibile. Al contrario se il musicista X si disperde in troppi gruppi, compone e pubblica centina di canzoni finendo per smarrire le perle assieme a pezzi normalissimi e talvolta nemmeno tali, finirà per lasciarsi alle spalle più rimpianti che bei dischi. Questi ragazzi ricadono purtroppo nel secondo caso e, insomma, è un vero spreco, che mi irrita perchè penso che potrei ascoltare musica migliore se questi si applicassero con meno foga e maggior senso critico!
Beh, insomma, se qualcuno di voi li incrocia, può gentilmente dirglielo? Grazie.
P.S.: DragonSlayer dei Sunset Rubdown non è poi così male...
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Sleigh Bells - Treats e gli speleologi musicali

By martchelo on martedì, agosto 24, 2010

Non mi cimento spesso col noise-pop, anzi, ad essere onesti lo evito con una certa cura benché mi incuriosisca. Questa volta la curiosità ha avuto il sopravvento sullo scetticismo.
Bastano poche note di Treats, album d'esordio degli Sleigh Bells, per innalzare la mia soglia d'attenzione musicale. Se siete in cerca di un tranquillo ascolto pop lasciate perdere subito, anzi, scappate a gambe levate. Se siete invece degli speleologi della musica leggera contemporanea avventuratevi con decisione in questo universo sonoro, avrete non poche sorprese.
Tra queste il fatto che i suoni non sempre sono articolati, le melodie spuntano e spariscono all'improvviso, a tratti sopraffatte dal rumore a tratti dalle ritmiche incalzanti.
Rock e pop affiorano in un mare di suoni elettronici, accattivanti quanto di non facile fruizione: onestamente ascoltarsi tutto l'album di fila è una prova che solo gli speleologi-musicali più determinati riusciranno a completare con successo e soddisfazione.
Di consigliare Treats in assoluto non me la sento proprio, di ascoltare qualcosa per ampliare i propri orizzonti musicali invece si. Dopo tutto questi Sleigh Bells qualcosa da dire ce l'hanno: Treats.
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Broken Social Scene - Forgiveness Rock Record, un finto grande album

By martchelo on venerdì, agosto 20, 2010

Una volta lessi su un quotidiano che Nicholas Cage è un finto grande attore. Ne possiede l'aspetto, l'atteggiamento e lo stile ma in realtà non ha la classe e  il talento necessari per essere considerato tale.
Forgiveness Rock Record è un finto grande album.
I Broken Social Scene sono una band importante nel contesto della scena indie più vivace e ricca degli ultimi 10 anni, quella canadese. Il loro curioso ensemble di quasi 20 musicisti li fa assomigliare più a un circolo culturale che a una vera e propria band tanto che abbiamo visto anche pubblicare dischi "approvati" da loro sotto la forma di Broken Social Scene presents...
Forgiveness Rock Record arriva a 5 anni di distanza dall'omonimo Broken Social Scene e segue in maniera coerente tutto ciò che caratterizza la band: una via personale al pop-rock, ricca di contaminazioni e percorsi inconsueti . La prima impressione che fornisce l'album è eccellente, la confezione scintillante, gli arrangiamenti ammirevoli. Ma la successione degli ascolti evidenzia una mancanza sorprendente: le canzoni. Infatti se la sovrastruttura produttiva è splendida e mirabile per varietà e ricchezza non altrettanto si può dire delle composizioni, prive di significativi spunti melodici e finanche un po' piatte. Ogni tanto sembra addirittura che la canzone sia stata composta velocemente solo per poi poterla produrre in grande stile. Dubito che sia così, anche se sarebbe una lettura affascinante. E anche una buona spiegazione all'altrimenti deludente mancanza di idee melodiche. Anche se All to All è un gran pezzo e sicuramente l'episodio più riuscito dell'album: ascoltate sia la canzone che la produzione, meritano.
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Black Mountain - In The Future, hard-rock da sorseggiare [4/5]

By martchelo on giovedì, agosto 19, 2010

Io ho una netta predilezione per le canzoni brevi, incisive, ammiro la capacità di sintesi di chi riesce a dire tutto ciò che deve nel minor tempo possibile, evitando di annacquare gli spunti brillanti. I Black Mountain, formazione canadese (ma quante band sforna il Canada!?) giunta al secondo album, non brillano certo per concisione (Bright Light, ad esempio, dura 16 minuti...), tuttavia In The Future mi ha incuriosito lo stesso.
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Arcade Fire - Suburbs, epica disperazione e un'inedita leggerezza [giudizio: 4/5]

By martchelo on mercoledì, agosto 18, 2010

Se mai nella vita dovesse capitarvi di creare un capolavoro, come capitò agli Arcade Fire con l'album d'esordio Funeral, c'è una cosa che dovete assolutamente evitare: cercare di replicare quella magica formula, tentare di ricreare la naturale perfezione di un momento irripetibile. Se Neon Bible, peraltro ottimo secondo album della band canadese, in parte ha corso questo rischio ciò invece non accade con Suburbs, il loro terzo sospirato album.
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Shearwater - Rook, se soffrite d'insonnia avete trovato la soluzione

By martchelo on lunedì, agosto 16, 2010

Giunti al quinto album gli Shearwater si sdoganano del tutto dagli Okkervil River, dei quali sono una costola visto che Jonathan Meiburg e Will Sheff provengono proprio dalla band texana. I punti di contatto tra i 2 gruppi, com'è ovvio, non mancano ma va detto che gli Shearwater evidenziano un'autonomia creativa che li rende diversi e degni d'essere considerati come un progetto vero e proprio e non un passatempo dopolavoristico.
Rook è caratterizzato da sonorità acustiche, ritmi lenti e una voce esile e acuta che rimanda ai Radiohead ma anche a Antony.
Dicevo che i ritmi sono lenti, ma forse farei meglio a dire lentissimi, tali che quando (molto raramente) gli Shearwater emettono suoni non flebili ci si sveglia allarmati di soprassalto.
Rook è un disco di genere, adatto a chi non cerca forti emozioni ma piuttosto un album che sia un fedele compagno di viaggio; anche se sul depresso andante.
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Wild Beasts, Limbo, Panto e Two Dancers, quel raffinato alt-pop che facilita lo sbadiglio

By martchelo on lunedì, agosto 16, 2010

Che cosa ingenerosa e sbrigativa, riunire due album in un unico post. Forse i Wild Beasts, band inglese formatasi nel 2006, non meritano tale trattamento. La formazione guidata dall'acuta voce simil-Antony del cantante Hayden Thorpe, tanto caratterizzante da risultare potenzialmente fastidiosa (nel mio caso togliete pure il potenzialmente), propone un alt-pop raffinato e intellettualoide, senza peraltro dimenticare di citare a sprazzi il pop inglese anni 80 nel tentativo di fare breccia nelle orecchie e nel cuore dei potenziali fan.
Limbo, Panto, il primo album e Two Dancers sono 2 capitoli di un unico discorso che ha l'indubbio pregio di svilupparsi in crescendo: Two Dancers è musicalmente più ricco (di elettronica) e maggiormente interessante da un punto di vista armonico e compositivo rispetto al primo lavoro.
Siamo di fronte a lavori di buon livello, più o meno generalmente molto apprezzati (in rete troverete sempre, tra l'altro, il parallelo, a mio avviso discutibile, con gli Smiths) e nei quali è evidente lo sforzo creativo e il tentativo di percorrere una via originale e personale al pop.
Nel mio caso però, più che la passione scatta lo sbadiglio.
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Yacht - See Mystery Lights e la normalità del pop alternativo

By martchelo on venerdì, agosto 13, 2010

Gli Yacht sono una creazione dell'americano Jona Bechtolt, un non-famoso personaggio della scena alternativa, impegnato anche in altri progetti, nessuno dei quali di particolare successo.
See Mystery Lights è il primo album degli Yacht e si colloca nell'affollato scenario alt-pop, un mondo in cui la regola è riscrivere le regole dell'easy listining mescolando facili melodie, elettronica, sperimentazione soprattutto negli arrangiamenti, stramberie e groove che spaziano dalla disco al rock.
E' un mondo curioso, perchè al primo ascolto fornisce l'impressione di essere fortemente innovativo e invece è abbastanza stereotipato, un po' come se tutti avessero percorso già tutte le strade e alla fine si ritrovassero a suonare in maniera simile.
Basta questo per capire che gli Yacht non hanno nulla che li faccia distinguere o emergere, sono purtroppo facilmente confondibili con molti altri.
See Mystery Lights non è un brutto album (al suo interno ci sono buone canzoni, come The Afterlife ad esempio) ma passa senza lasciare grandi tracce di sé e della sua alt-normalità.
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Wild Nothing - Gemini, perchè ascolto queste cose?

By martchelo on giovedì, agosto 12, 2010

Questi Wild Nothing li ho conosciuti grazie (si fa per dire) alla Bibbia Pitchfork. Esaltati come spesso capita a molti gruppi misconosciuti, si trovano, proprio grazie alle critiche favorevoli, di fronte ad ascoltatori (io, nella fattispecie) con aspettative piuttosto alte.
Sinteticamente mi sento di dire: mah...
Gemini, album di debutto dei Wild Nothing è un lavoretto grazioso e incolore, affettuosamente devoto ai suoni anni 80, popolato da un pop esile esile cantato senza particolare talento dal leader Jack Tatum.
I Wild Nothing non hanno fatto nulla per meritare giudizi particolarmente severi, ma Gemini è un album indubbiamente perdibile.
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Wolf Parade - EXPO 86, il rapido declino di una band promettente [2/5]

By martchelo on mercoledì, agosto 11, 2010

Attendevo il terzo album dei Wolf Parade con preoccupata curiosità. Se l'esordio del gruppo guidato da Spencer Krug e Dan Boeckner, ovvero lo spendido Apologies to the Queen Mary, era stato fulminante, non altrettanto si può dire di At Mount Zoomer, buon lavoro del 2008, ma privo dello straordinario estro del primo album.
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