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I 10 migliori Album del 2010

By martchelo on venerdì, dicembre 31, 2010

Non ho mai capito quei siti che a fine anno ti inondano di decine e decine di album segnalandoli come "i migliori" dell'anno. A valle di un 2010 musicalmente non straordinario mi limiterò quindi a una manciata di segnalazioni. Siccome non amo le classifiche, specifico che l'ordine di apparizione non ha alcuna rilevanza:
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Middle Class Rut - No Name No Color, un esordio clamoroso!! (e meno si è, più rumore si fa) [giudizio: 5/5]

By martchelo on mercoledì, dicembre 29, 2010

Meno si è, più rumore si fa. E' una massima discutibile, è vero, però ascoltando (anche) i Middle Class Rut la deduzione è quasi d'obbligo. Così come i White Stripes, i Black Keys, i Blood Red Shoes, i Kills anche i Middle Class Rut sono infatti un duo, per la precisione composto dal chitarrista/cantante Zack Lopez e dal batterista/cantante Sean Stockham.
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Monster Magnet - Mastermind, onesto hard rock (ma bisognoso di un restyling) [giudizio: 3/5]

By martchelo on venerdì, dicembre 24, 2010

Chi frequenta Mantaray sa che io non sono un gran fan del metal, salvo rare eccezioni riservate alle eccellenze (giù il cappello per i Metallica, pliz). Ora, per una serie di coincidenze che possono essere ricondotte alla sindrome del click-compulsivo-alla-ricerca-della-novità, mi trovo a recensire un album di un gruppo che non avevo mai sentito nominare. I Monster Magnet, scopro su Wikipedia, esistono però dal 1989 (gasp!), e per certi verso mi fanno subito inorridire: nome pacchiano e inutilmente altisonante, copertina dell'album intrisa del cattivo gusto aerografato di certo metal di seconda fascia.
Per non parlare dell'impresentabile look da reduci del metal anni '80 (vedere per credere).
Nonostante tutto ciò ho ascoltato Mastermind, perchè nella vita non si sa mai. E in fin dei conti ho fatto bene, questo album è pieno di musica. I Monster Magnet di metal hanno ben poco, giusto qualche elemento a tratti,la loro vena prevalente è hard rock, anche stoner rock se vogliamo (ma scordatevi la potenza sonora dei Queens of the Stone Age). Apparentemente si tratta di un gruppo di "boscaioli", energici e lineari, ma in realtà la scrittura non è priva di spunti brillanti, le canzoni sono varie e insomma, a parte qualche coretto un po' patetico tipico dell'hard rock dei tempi che furono, Mastermind è un buon album rock, onesto.
Se poi i Monster Magnet cambiassero, nome, look e grafico....ma vabbeh, non pretendiamo troppo, in fin dei conti è Natale, siamo tutti più buoni: Hallucination Bomb!
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Warpaint - The Fool, bravine ma senza profondità

By martchelo on mercoledì, dicembre 22, 2010

Le Warpaint sono 4 ragazze di Los Angeles, all'esordio per la Rough Trade.
Di questo The Fool ho letto piuttosto bene e l'ho dunque ascoltato con curiosità. Atmosfere dark e brumose, voci vellutate e soffuse, quasi di sottofondo (particolare abbastanza irritante per quel che mi riguarda), psichedelia a go-go e tempi dilatati.
Breve cronistoria delle mie sensazioni: il primo ascolto di questo lavoro mi ha molto ben impressionante, il secondo non mi ha aggiunto molto, il terzo non mi ha aggiunto niente.
The Fool è un album discreto ma manca di profondità, anche se a un primo ascolto paiono esserci vari livelli di lettura, nella realtà questo non è vero. Non dico di evitare questo lavoro delle Warpaint, ma consiglio di avere poche aspettative, così non sarete delusi: Undertow.
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Sufjan Stevens - The Age Of Adz, come un bambino in un Toys Centre

By martchelo on mercoledì, dicembre 15, 2010

Sufjan Stevens non è un personaggio banale, la sua carriera è infarcita di curiose pubblicazioni, mezzi dischi, outtakes e quant'altro vi venga in mente per disorientare fan e pubblico in genere. Ascoltando The Age of Adz non bisogna quindi sorprendersi troppo delle sorprese che Sufjan ci regala. S
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The Thermals - Personal Life, un passo indietro

By martchelo on lunedì, dicembre 13, 2010

Recensendo il quarto album dei Thermals, Now We Can See, mi ero sbilanciato sul futuro della band: vestendo panni da veggente affermavo infatti che la maturità per loro sarebbe arrivata col quinto album.
Personal Life è, appunto, il quinto album della band americana, ma non lo definirei l'album della maturità. Anzi, per essere onesto, ritengo questo album un sostanziale passo indietro. Infatti i Thermals non hanno risolto i problemi legati allo stile, all'impronta sonora del gruppo, ad oggi ancora non del tutto identificabile nonostante si muovano entro ambiti tutto sommato limitati: dal post-punk all'indie-rock. Le escursioni punkettose sono più evidenti che in Now We Can See e aggiungono poco o nulla al suono dei Thermals, rimandando a epoche sonore oramai superate: punk's (not?) dead.
Sul piano della scrittura nessuna sorpresa, anche perchè non è certo questa la loro qualità migliore: canzoni semplici, lineari, con poche intuizioni sia melodiche che interpretative. Ma se nel precedente lavoro emergevano alcuni brani baciati dal genio della lampada (melodica) in Personal Life assistiamo ad un panorama molto meno intrigante e ricco di spunti, un classico lavoro da 6,5, giusto per avere la sufficienza e non dover studiare durante le feste.
Peccato, perchè secondo me i Thermals qualche numero ce l'hanno. O forse li sopravvaluto: Never Listen To Me.
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I Grammy mi tormentano: ora tocca pure ai Pixies!!

By martchelo on giovedì, dicembre 09, 2010

L'incubo Grammy continua, l'attacco ai miei miti musicali non finisce!
O meglio, mi sono accorto solo oggi che oltre agli Arcade Fire, pure i Pixies sono stati nominati. La cosa bella è la categoria, l'88 esima ovvero Best Boxed Or Special Limited Edition Package. Le mie più sincere congratulazioni a chi l'ha ideata.
Minotaur ha tutte le caratteristiche per meritarsi una nomination (se voleste regalarmelo, beh, come potrei dirvi di no?), perchè è una straordinaria operazione metti-il-fan-nella-rete. Però ora basta: no more nominations please, lasciatemi in pace!
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Elf Power - Dream in Sound, vette pop e vuoti di produzione [4/5]

By martchelo on giovedì, dicembre 09, 2010

Ho letto da più parti che Dream in Sound è il miglior album degli Elf Power. Avendo da poco scritto del loro omonimo, ultimo e valido album, Elf Power appunto, mi sono piacevolmente immerso nell'ascolto di questo album del 1999, il loro terzo lavoro.
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Gli Arcade Fire nominati per i Grammy: l'impero del ma(le)instream ci attacca!

By martchelo on venerdì, dicembre 03, 2010

Non ho mai nascosto di avere un approccio fieramente snob alla musica, peraltro confortato dalla lettura di qualsiasi classifica di vendita. Ai miei beniamini, quasi sempre relegati in angoli bui della scena musicale mondiale, ho sempre augurato fortuna e successo. Ma non nascondo un'insana gelosia, un sentimento possessivo per cui in fondo spero che i miei amati rimangano mio esclusivo appannaggio. O perlomeno di un gruppo di eletti.
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Gli Editors e Flood: l'importanza del produttore e la difficoltà di ripetersi

By martchelo on mercoledì, dicembre 01, 2010

Il produttore musicale è quanto di più simile ci sia, nel mondo sonoro, all'allenatore di una squadra di un qualsiasi sport. La storia della musica è zeppa di esempi che dimostrano come quest'uomo invisibile ai più sia in grado di fare la differenza, consentendo alle band di ottenere il massimo dalle proprie potenzialità e, in alcuni casi, anche di più.

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The Paradise Motel - Australian Ghost Story, raffinata e inquietante sensibilità

By martchelo on venerdì, novembre 19, 2010

Un storia di fantasmi australiana. Questa recensione del sesto album dei Paradise Motel potrei anche finirla qui. Il titolo di questo lavoro dice tutto, evoca atmosfere notturne, impercettibili inquietudini, suoni usati con moderazione e gusto, raffinato story-telling spesso solo sussurrato.
Australian Ghost Story è un concept album, incentrato sulla triste fine di Azaria Chamberlain, che scomparì nel 1980 a otto anni durante una gita ad Ayers Rock e per la cui - presunta - morte fu accusata la madre. Questo lavoro mi ricorda da vicino l'album d'esordio, e al momento anche l'unico, dei Dead Man's Bones (ora tutto vi è più chiaro, eh?): atmosfere brumose da casa di campagna, notturne, lente ed evocative di sinistri presagi. Rispetto agli americani i Paradise Motel sono in realtà un po' più normali, meno inquietanti, anche per il cantato molto tradizionale di Merida Sussex che secondo me limita le capacità espressiva della band australiana. Ma la raffinata sensibilità dei Paradise Motel merita l'ascolto: Brown Snake.
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I White Stripes, il cofanetto di Natale e la sindrome del Ragno

By martchelo on giovedì, novembre 18, 2010

Avendo recentemente sfottuto un mio amico nonché music-blogger, per essersi infatuato della bieca operazione commerciale The Promise ad opera di Bruce Springsteen, mi trovo, nel giro di un paio di giorni, in evidente imbarazzo.
Uno dei miei gruppi di riferimento, i White Stripes, evidentemente tenuti in ostaggio dal Ragno, sta infatti pubblicando un clamoroso cofanetto-metti-il-fan-nella-rete!
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Black Mountain - Wilderness Heart, che delusione il terzo album [2/5]

By martchelo on mercoledì, novembre 17, 2010

Io sono convinto che l'arte, qualsiasi arte, si alimenti di piccoli percentuali di innovazione e grandi quantità di "ispirazione" a lavori di altri artisti. Insomma tutti copiano, e la cosa è assolutamente normale, lecita, giusta oserei dire. Ma in tutto ci vuole misura, se a fare "copy" son capaci tutti, è nel fare "paste" che emergono le differenze, è nel "paste" che sta la vera arte. Ovvero nella rielaborazione di ciò cui l'artista attinge, nel fare diventare proprio ciò che era di altri. Ed è proprio nel fare questo che i Black Mountain falliscono, clamorosamente.
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Elf Power - Elf Power, ottimo pop malinconico e solare, con qualche brano da urlo [giudizio: 4/5]

By martchelo on lunedì, novembre 15, 2010

Elf Power è il quattordicesimo album (contando anche le auto-produzioni) degli Elf Power e io non li avevo mai sentiti nominare. Questo non è un buon inizio. Se non altro non vi ammorberò con paragoni al passato - e poi cercherò di rimediare a questa mia lacuna.
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The Lonely Heart Show - Hope In Shadows, folgorante oscurità

By martchelo on venerdì, novembre 12, 2010

Non capita spesso, ma quando accade si scoprire qualcosa di nuovo, o perlomeno di sconosciuto ma denso di qualità e promesse è lecito gioire. E oggi gioisco! I Lonely Heart Show guidati da Cris Fehr pubblicano il loro primo album, Hope in Shadows, ed è un grande esordio.
Atmosfere noir, ritmi lenti, voce calda e grandemente espressiva, stile compositivo degno di nota, classico ma non vecchio. Mi sto forse facendo un po' prendere dall'entusiasmo, quindi meglio se mitigo un po' il tutto. Hope in Shadows è un album già sentito, ricorda molti artisti, gli stessi Lonely Heart Show fanno riferimento a Johnny Cash e Mark Lanegan, io aggiungo anche i National, giusto per avere un riferimento indie.
Il punto di forza (e di debolezza) dell'album è il suo essere classico, a tratti prevedibile, ma sempre denso di musica torbata, atmosfere grigie e brumose, odore di whiskey nell'aria. Ok, ok, la finisco con le metafore, in fondo sono sobrio e il senso di questo album penso di averlo reso.
Ho un dubbio: qual'è la profondità di questo album, come si comporterà alla prova del tempo? Al tempo la sentenza, i Lonely Heart Show sono un'incognita, una promessa, tra qualche mese capirò se Hope in Shadows avrà fatto breccia nella mia discografia o se si sarà docilmente accomodato in un angolo, inevitabilmente polveroso: Loners' Lullabye.
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Two Door Cinema Club - Tourist History, la next mica-tanto-big thing

By martchelo on giovedì, novembre 11, 2010

L'ennesimo fenomeno indie di cui si parla nel sottobit del web 2.0? I Two Door Cinema Club, trio irlandese elettro-pop all'esordio discografico. In realtà i rumors sono già di qualche mese fa ma sapete com'è, lavorando spesso mi trovo ad ascoltare le novità con qualche ritardo...
In sintesi: non penso che i Two Door Cinema Club lasceranno particolari tracce nel mondo della musica indie: sono troppo simili a 1000 altre band, troppo confondibili, carini e banali.
Tourist History non è un brutto album in realtà, ma sono un po' saturo di queste band del tutto inoffensive, capaci solo di un pop mieloso e buono per tutti i gusti. Ai Two Door Cinema Club manca estro, manca imprevedibilità, manca qualcosa che li faccia riconoscere nel mezzo della folla indie-pop: che sia la voce, uno strumento, lo stile compositivo o quant'altro vi venga in mente.
Un mio parere così negativo sarà probabilmente un portafortuna verso il successo della band: infatti li ho già ritrovati nella colonna sonora di Fifa 11 (un gioco di calcio, per chi vivesse fuori da questo mondo).
In un mondo anche molto migliore di questo, temo di essere inesorabilmente destinato alla minoranza...
Come Back Home.
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Twin Shadow - Forget, ti ricordi gli anni ottanta?

By martchelo on giovedì, novembre 04, 2010

Forget è l'album d'esordio dei Twin Shadow, band di Brooklyn che fa capo a tal George Lewis Jr. Nonostante i soli 26 anni, George conosce molto bene gli anni ottanta, ne sa evocare mille sfaccettature e riesce a riproporle attraverso la sua sensibilità, in un'avveniristica retrospettiva. Forget è un album che mi ha sorpreso, gli anni 80 fanno parte del mio vissuto, li conosco benissimo (sic!) e vederli riletti da un'artista che non li ha conosciuti in prima persona è da un lato straniante, dall'altro interessante. I Twin Shadow vanno a pescare negli eighties più intimi e malinconici, scavano nell'animo e riescono a rievocare ricordi impossibili (come fanno a ricordarmi le feste del liceo??) con una naturalezza e una grazia sorprendenti.
La rievocazione degli anni 80 non è certo una novità, ma se molte band si sono focalizzate sulla wave e sulla conseguente energia (Editors, Stellastarr tanto per fare un paio di nomi), pochi sono stati in grado di addentrarsi tra le pieghe più intime della musica di quel periodo. Forget riesce dove molti hanno fallito e se da un lato non propone nulla di nuovo dall'altro esibisce un tocco artistico lieve ma intenso che non capita frequentemente d'ascoltare: Slow.
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Smoke Fairies - Through Low Light And Trees, oscuro e acustico, ma non mi emoziona

By martchelo on martedì, novembre 02, 2010

Le Smoke Fairs, duo britannico composto dalle fanciulle Katherine Blamire e Jessica Davies, stanno avendo una qualche notorietà, o perlomeno una qualche eco, dopo aver pubblicato il loro primo lavoro: Through Low Light And Trees. Ne ho letto una recensione interessante su OndaRock, tale da attirare la mia attenzione grazie anche all'oculato inserimento nel testo della keyword Jack White.
E' un album antico questo, riporta alla mente i cantastorie, il folk-blues tradizionale, storie notturne e bucoliche, atmosfere intime, pervase da un'anima dark. Lo stile canoro è molto classico, personalmente non mi fa per nulla impazzire, anche se in qualche modo rimanda, e questo non mi dispiace, alla tradizione celtica.
Through Low Light And Trees ha un suo fascino oscuro e acustico. Che però non fa breccia nella mia rozza anima e che quindi non mi sento di consigliare. Sorry girls: Hotel room.
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Brandon Flowers - Flamingo, la sobria eleganza kitsch

By martchelo on martedì, ottobre 26, 2010

Brandon Flowers è il cantante dei Killers ed è in vacanza. O meglio, dopo quasi 10 di anni di attività e 5 album (di inediti 3, vabbeh), Brandon ha deciso di ritagliarsi una parentesi tutta per se. Niente di strano quindi. Anche se io sono rimasto un po' stupito dall'uscita di questo album: i Killers sono il suo gruppo, Brandon ne è leader indiscusso, front-man, autore di pressoché tutte le canzoni. Evidentemente però la sua vena creativa è parzialmente limitata dalla band e dalle sue caratteristiche, motivo per cui il buon Flowers ha deciso di buttarsi nel progetto Flamingo (scritto quasi interamente durante l'ultima tournée dei Killers).
L'album d'esordio del quasi 30enne di Las Vegas è esattamente quello che speravo che fosse: un album con molti punti in comunque coi Killers ma più intimista, con momenti da crooner, arrangiamenti sobri e inalterato senso melodico. Le canzoni sono in media ben scritte e piacevoli, del resto Brandon Flowers è una garanzia e spesso viene ingiustamente sottovalutato (perchè i Killers hanno la grave colpa di aver avuto successo...). Crossfire è un bell'esempio di canzone border-line tra Brandon Flowers e Killers; forse anche perchè una vera linea di confine tra i 2 mondi non esiste. Flamingo è un bel disco, di una sobria eleganza kitsch, come dimostra la copertina stessa dell'album.
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Blood Red Shoes - Fire Like This, riuscito mix di energia e melodia [4/5]

By martchelo on giovedì, ottobre 14, 2010

Mi son reso conto che, per decidere se mi piacesse o meno, ho ascoltato parecchio questo Fire Like This, secondo album dei Blood Red Shoes. Il duo inglese ricorda la formula di White Stripes o Kills per quanto riguarda gli ingredienti: band di 2 soli elementi, in questo caso Laura-Mary Carter (voce e chitarra) e Steven Ansell (voce e batteria).
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Stars - The Five Ghosts, l'eldorado canadese non delude mai

By martchelo on mercoledì, settembre 29, 2010

Gli Stars fanno parte di quell'Eldorado musicale rappresentato dalla scena canadese degli ultimi 10 anni. Attivi dal 2000 fanno tutti parte anche dei Broken Social Scene, il celebre collettivo indie-rock dei musicisti dalla foglia d'acero. Li scopro tardivamente solo oggi, con una decina d'anni di ritardo.
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Paul Simon - Concert In The Park, un capolavoro live di world-folk music [5/5]

By martchelo on martedì, settembre 21, 2010

Nel 1991 quel piccolo (di statura) genio folk di Paul Simon raggiunse l'acme del proprio percorso musicale con uno strepitoso concerto a Central Park. La celebrità, Paul Simon, come saprà chiunque, l'ottenne in compagnia di Art Garfunkel, lui si un vero genio: senza comporre canzoni né suonare ma limitandosi a delle graziose seconde voci divenne una star internazionale... Simon&Garfunkel durarono relativamente poco, 6 anni e 5 album cui seguì, nel 1982 The Concert in Central Park. Ecco, in questa recensione non parlo di quell'album, bensì di Concert in the Park registrato dal solo Paul Simon (che magari avrebbe anche potuto pensare a un titolo che si differenziasse un po' di più...) nel 1991. Questo live è l'ideale conclusione del tema etnico iniziato nel 1986 con la pubblicazione di Graceland, un vero capolavoro di world music, magistrale per livello compositivo e arrangiamenti, per la magica commistione dei suoni africani col folk bianco di Paul.
Ascoltando il concerto non si può non ammirare l'eccezionale interpretazione delle canzoni di Graceland e non rimanere colpiti dalla rivisitazione di alcuni grandi classici di Simon&Garfunkel come Me and Julio Down by the Schoolyard o Bridge over Troubled Water tanto per citarne un paio. E dire che io normalmente detesto le rivisitazioni ...
E detesto anche le sovraincisioni. Ma ascoltando questo doppio cd io spero che ce ne siano, e che siano parecchie. Perchè altrimenti non riuscirei a spiegarmi come possano aver suonato live, con una qualità pazzesca, arrangiamenti complessi e con un gusto musicale fatto di contrappunti, ritmiche, assoli, seconde e terze voci cha lascia a bocca aperta. Da riscoprire.
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Tired Pony - The Place We Ran From, un hobbit-CD?

By martchelo on giovedì, settembre 16, 2010


I Tired Pony sono un super-gruppo e The Place We Ran From è il loro primo album. Ma che cos’è un super-gruppo? Cosa si intende con questo termine? Guardando su Wikipedia, troviamo scritto: “...un gruppo musicale composto da musicisti particolarmente celebrati per il loro talento tecnico e in genere già divenuti famosi in altri gruppi...”. Non so perchè, ma mi vengono subito in mente i Traveling Wilburys: George Harrison, Bob Dylan, Tom Petty, Roy Orbison e qualcun’altro che non ricordo. Si sa, i supergruppi spesso muoiono giovani e anche i T.W. ebbero vita breve: due anni tra il 1988 e il 1990. Ma Gary Lightbody, voce degli Snow Patrol e mente pensante della nuova creatura, assicura che il progetto Tired Pony non sarà un operazione estemporanea. Questo mi rende fiducioso e propenso a considerare il tutto con maggiore attenzione. Il mix di artisti che compone il gruppo è piuttosto curioso. Oltre al già citato Lighbody ci sono anche: Peter Buck (chitarra dei REM), Richard Colburn (batteria dei Belle And Sebastian) e Scott McCaughey (non so cosa dei Minus 5). Contribuiscono alla causa in due canzoni anche Zooey Deschanel (attrice-cantante hollywoodiana) e Tom Smith (vocione dei benemeriti Editors). Mi preparo psicologicamente all'ascolto leggendo blog e siti specializzati vari e dopo pochi clic mi sono già fatto un idea: Americana! Questa è la chiave di ascolto. Pigio play e quello che sento è, in effetti, un album country rock, che si fa ascoltare volentieri sin dalle prime note. I Pony giocano subito con un pathos epico un po' facile, ma efficace e l'album parte con una manciata di canzoni che ti entrano subito dentro. Easy listening di qualità!!!! Mi ingolosisco e attendo ogni canzone con crescente curiosità. I pezzi volano leggeri tra crescendo che hanno sonorità a tratti più country e in altri momenti più pop-rock. Tutto bello fino in fondo? Purtroppo no. La magia si interrompe inspiegabilmente con l’attacco della traccia 5. La ballatona soporifera, Held in the Arms of Your Words, abbiocca un po’ l'abum, e apre la pista ad una serie di canzoni sottotono. Scavo, riascolto nella vana speranza, ma non c'è nulla da fare: la magia se n'è andata. Nella seconda parte del CD salvo solo due pezzi che superano, di poco, la linea di galleggiamento: I Am the Landslide (cantata alla Neil Young) e The Good Book (cantata bene da Smith). Un mezzo album? Un Hobbit-CD? Ne aveveno solo per 5 tracce? L’altra metà del fluido vitale l’hanno messa al servizio dei loro gruppi di provenienza? Peccato, perchè i Pony sembrano essere in grado di scrivere canzoni che funzionano. Lunga vita a loro, quindi, nell’attesa della seconda parte di The Place We Ran From o di un nuovo LP intero.
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Isobel Campbell & Mark Lanegan - Hawk, il duo più ruffiano del mondo indie

By martchelo on martedì, settembre 14, 2010

Isobel Campbell e Mark Lanegan sono, a loro modo, 2 icone del mondo indie, all'interno del quale appaiono essere decisamente mainstream. Non che sia importante, ma è evidente che l'unione di 2 artisti così noti e così apparentemente diversi non possa passare inosservata. Hawk è il terzo capitolo della loro collaborazione e segue il bellissimo esordio Ballad of the Broken Seas (un piccolo capolavoro) e l'opaco Sunday at Devil Dirt (scialbo seguito).
La bella e la bestia, il diavolo e l'acqua santa, sono tra le mille possibili immagini evocative dell'abbinamento tra l'eterea voce di Isobel e il timbro baritonale di Mark. A queste aggiungerei un bel "manieristico". Diciamocelo, questa è un'operazione di una ruffianeria totale, fatta per piacere proprio perchè ha caratteristiche tali che non può non piacere: l'atmosfera ovattata, i toni morbidi, la classe che i 2 elargiscono a piene mani. Ma è proprio la prevedibilità di quest'operazione a rendere Hawk debole e privo di lampi. Quanto Ballad of the Broken Seas miscelava questi ingredienti "piacioni" con spunti melodici di prim'ordine, tanto Hawk è normale e privo di spunti in grado di sorprendere.
Ammirazione per il talento dei 2 (ma Mark Lanegan ogni tanto sembra prossimo all'asma da quanto "scalda" la voce) ma anche delusione, perchè non bastano ottimi ingredienti per ottenere un grande risultato, ci vogliono anche le canzoni.
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Sleepy Sun - Embrace e Fever, sostanzialmente inutili e anche un po' noiosi

By martchelo on venerdì, settembre 10, 2010

Rock psichedelico da San Francisco, California, echi degli anni 70 e una spruzzata di attualità: questo offre la musica degli Sleepy Sun. Avete presente il filone nostalgico hard rock dei bei tempi che furono? La band americana rientra in pieno in questa categoria, ricordandomi soprattutto i Black Mountain per parlar dei contemporanei, tralasciando gli infiniti rimandi a gruppi del passato.
Cosa hanno di originale o interessante gli Sleepy Sun? Niente.
Embrace e Fever, i 2 album ad oggi pubblicati dagli Sleepy Sun, rimandano senza particolari velleità ai seventies, riproponendo formule note, sfoggiando 2 voci piacevoli e una produzione attenta. Ma se in altri gruppi la citazione è capace di affiancarsi alla freschezza questo purtroppo non accade con gli Sleepy Sun: i 2 album (più o meno allo stesso modo) sono sostanzialmente inutili e anche un po' noiosi.
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Menomena - Mines, l'inconsueta grandezza dell'indie-rock sperimentale

By martchelo on venerdì, settembre 03, 2010

Non è facile descrivere i Menomena, band statunitense giunta al quarto album con questo Mines. Provate a immaginare una band pop-rock, togliete l'easy listening (anche se non del tutto), arricchite con contaminazioni a piacere, introducete linee melodiche accattivanti quanto insolite, arrangiamenti mai banali, melodia e sperimentazione. Chiaro?
Mines è senza dubbio l'album più bello e riuscito dei Menomena, quello in cui il trio guidato da Brent Knopf riesce ad esprimere nella maniera più compiuta la proprie potenzialità.
Mines è infatti un album pieno di buona musica e di idee, ricco senza essere inutilmente sfarzoso, e merita l'ascolto. Raccomando però un approccio cauto, soprattutto se non siete abituati a questo tipo di canzoni, ricche di momenti inconsueti (talvolta viene però da chiedersi: ma perchè introdurre queste complicazioni quando il brano stava in piedi anche senza tali stramberie?). L'inconsueto, insomma, richiede di pagare un prezzo; nel frattempo ascoltatevi Dirty Cartoons, splendidamente malinconica.
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Male Bonding - Nothing Hurts, punk-rock d'altri tempi (e quindi perché lo suonano così nel 2010?)

By martchelo on mercoledì, settembre 01, 2010

Dei Male Bonding ho letto molto e bene, dunque li ho ascoltati non senza qualche aspettativa. L'indie-rock vive di novità, di "next-big-think" e, insomma, il solito mix di amenità che scatena la curiosità degli appassionati.
I Male Bonding non hanno nulla di vagamente nuovo da dire. Non che sia fondamentale aver qualcosa di nuovo da dire, ma far intravvedere una strada personale alla musica, quello si che è importante.
Nothing Hurts ricorda tanti album e altrettanti gruppi del passato e tra questi trovo molto dei Ramones.
I 3 londinesi ci propinano il classicissimo wall-of-sound, in fondo al quale si coglie, più o meno vagamente, la voce (del tutto anonima) del cantante.
Per quanto riguarda la costruzione dei pezzi nulla da segnalare, siamo in pieno nel già-sentito già-scritto ma-perchè-lo-rifanno. Questo album, se non si fosse capito, non m'è piaciuto per nulla. Non escludo però che qualche nostalgico del punk-rock che fu possa apprezzarlo. Almeno in parte.
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Del perché il testo delle canzoni nella musica leggera è un'inutile necessità

By martchelo on martedì, agosto 31, 2010

Dibattevo l'altro giorno con un mio amico sull'importanza dei testi per quanto riguarda le canzoni di musica leggera: pop, rock, folk, disco e quant'altro. Mi sono applicato con una certa passione nel tentativo di fargli cambiare idea, lui convinto assertore della centralità dei testi.
Allargo quindi a tutto il mio pubblico (cioè il mio amico stesso più qualche sventurato capitato per caso su Mantaray) il mio ragionamento.


  1. la musica è emozione, istinto: le cose che ci colpiscono quando ascoltiamo una canzone sono la melodia, il mix sonoro, gli strumenti e le voci. E' una reazione istintiva e non mediata quella che ci porta al gradimento o meno di un brano.
  2. per cantare serve un testo: al centro di qualsiasi pensiero musicale c'è la musica stessa, tuttavia è necessario avere qualcosa da cantare, il testo è una necessità prima che un'esigenza.
  3. ma questo qui ha qualcosa da dire? i testi delle canzoni sono i più diversi e disparati (anche disperati talvolta) e chiariscono velocemente il fatto che l'artista in questione abbia qualcosa da dire oppure no. Una mia approssimativa analisi mi porta a dire che circa il 90% (stima approssimata per difetto) degli artisti non ha nulla (di interessante) da dire.
  4. Il mio cantante preferito è bravissimo: una volta superata la sfera istintiva, quella che determina il vero gradimento, subentra la noiosissima sfera analitica del nostro intelletto. Ovvero ci mettiamo ad analizzare ciò che canta il nostro campione per poi amarne le scelte confondendo il ragionamento con l'emozione. Capita così di ascoltare persone lodare il loro idolo per la profonda sensibilità sociale, altri invece elogiare il raffinato non-sense dei testi del loro gruppo preferito. Tutto ciò è un abbaglio, è la razionalizzare di una reazione di puro piacere melodico.
  5. Thanks God, I'm Italian: fortunatamente sono italiano e posso godere delle meraviglie della musica anglosassone (ovvero della qualità migliore di quel popolo). Ascoltare i capolavori della musica inglese e americana prescindendo dai testi è un privilegio fantastico che ci permette di gustarne appieno le qualità musicali senza doverci sorbire i testi. Per intenderci, buona parte del repertorio della band più universalmente amata della storia della Musica, i Beatles, non brillano certo per le qualità letterarie...
  6. Alcuni artisti dicono di scrivere prima il testo e poi la musica: è vero ma sono una minoranza e alla fin fine si tratta di un aspetto secondario, il testo può anche essere bellissimo ma se la canzone non lo è lo sforzo creativo sarà del tutto inutile.
  7. Ascolto il gruppo tal-dei-tali perchè scrive dei testi bellissimi anche se le musiche sono brutte: chi mai direbbe qualcosa di simile? A me viene in mente solo un'artista i cui testi erano talmente belli da poter prescindere dalle musiche, Fabrizio De André. Quando, a fine carriera, fu affiancato dal figlio e da altri eccellenti musicisti raggiunse l'acme della sua produzione perché unì alle sue liriche un supporto musicale adeguato.
  8. Nella musica folk o cantautorale il testo è importante: innegabile, perchè questi 2 generi musicali discendono direttamente dalla tradizione dei cantastorie. Tuttavia da quando sono stati accesi gli amplificatori e la musica da acustica è diventata elettrica (per non parlar dell'elettronica) i suoni hanno prevaricato le parole (pur con qualche ragionevole eccezione).
Potrei andare avanti ma non mi pare il caso. Insomma ben vengano dei bei testi e degli artisti che abbiano qualcosa da dire, ma ricordate: al centro c'è la musica, il resto è un (più o meno) piacevole contorno.

p.s.: risposta preventiva a chi citasse il rap come esempio di musica in cui l'importanza dei testi è preponderante. Si tratta di un grave errore, il rap non è musica, è un telegiornale con una base ritmica.
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Swan Lake, Sunset Rubdown, Destroyer, Frog Eyes: quando la moltiplicazione dei talenti si rivela un fallimento

By martchelo on venerdì, agosto 27, 2010

Swan Lake, Sunset Rubdown, Destroyer, Frog Eyes (più altri che per brevità e pigrizia non cito), per chi non li conoscesse, sono gruppi o supergruppi (sic!) che appartengono alla fertilissima scena indie-rock canadese e vedono la partecipazione a vario titolo di musicisti talentuosi come Dan Bejar e Spencer Krug.
In questi giorni ho riascoltato alcuni di questi album, che ho sempre tenuto un po' da parte dicendomi: li ascolterò poi, con più calma.
In maniera se vogliamo un po' semplicistica ho deciso di raggruppare in unico post gruppi e progetti diversi tra loro ma in qualche modo legati dalla sensazione che mi danno quando li ascolto: frustrazione! Una grande frustrazione per lo spreco che questi artisti stanno facendo del loro talento. Per sommi capi il mio ragionamento è questo: se l'artista X ha un certo potenziale e sceglie la band giusta e dedica alla stesura delle canzoni l'attenzione adeguata scremando tutto ciò che non raggiunge un livello qualitativo significativo, probabilmente otterrà dalla propria vita artistica il massimo possibile. Al contrario se il musicista X si disperde in troppi gruppi, compone e pubblica centina di canzoni finendo per smarrire le perle assieme a pezzi normalissimi e talvolta nemmeno tali, finirà per lasciarsi alle spalle più rimpianti che bei dischi. Questi ragazzi ricadono purtroppo nel secondo caso e, insomma, è un vero spreco, che mi irrita perchè penso che potrei ascoltare musica migliore se questi si applicassero con meno foga e maggior senso critico!
Beh, insomma, se qualcuno di voi li incrocia, può gentilmente dirglielo? Grazie.
P.S.: DragonSlayer dei Sunset Rubdown non è poi così male...
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Sleigh Bells - Treats e gli speleologi musicali

By martchelo on martedì, agosto 24, 2010

Non mi cimento spesso col noise-pop, anzi, ad essere onesti lo evito con una certa cura benché mi incuriosisca. Questa volta la curiosità ha avuto il sopravvento sullo scetticismo.
Bastano poche note di Treats, album d'esordio degli Sleigh Bells, per innalzare la mia soglia d'attenzione musicale. Se siete in cerca di un tranquillo ascolto pop lasciate perdere subito, anzi, scappate a gambe levate. Se siete invece degli speleologi della musica leggera contemporanea avventuratevi con decisione in questo universo sonoro, avrete non poche sorprese.
Tra queste il fatto che i suoni non sempre sono articolati, le melodie spuntano e spariscono all'improvviso, a tratti sopraffatte dal rumore a tratti dalle ritmiche incalzanti.
Rock e pop affiorano in un mare di suoni elettronici, accattivanti quanto di non facile fruizione: onestamente ascoltarsi tutto l'album di fila è una prova che solo gli speleologi-musicali più determinati riusciranno a completare con successo e soddisfazione.
Di consigliare Treats in assoluto non me la sento proprio, di ascoltare qualcosa per ampliare i propri orizzonti musicali invece si. Dopo tutto questi Sleigh Bells qualcosa da dire ce l'hanno: Treats.
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Broken Social Scene - Forgiveness Rock Record, un finto grande album

By martchelo on venerdì, agosto 20, 2010

Una volta lessi su un quotidiano che Nicholas Cage è un finto grande attore. Ne possiede l'aspetto, l'atteggiamento e lo stile ma in realtà non ha la classe e  il talento necessari per essere considerato tale.
Forgiveness Rock Record è un finto grande album.
I Broken Social Scene sono una band importante nel contesto della scena indie più vivace e ricca degli ultimi 10 anni, quella canadese. Il loro curioso ensemble di quasi 20 musicisti li fa assomigliare più a un circolo culturale che a una vera e propria band tanto che abbiamo visto anche pubblicare dischi "approvati" da loro sotto la forma di Broken Social Scene presents...
Forgiveness Rock Record arriva a 5 anni di distanza dall'omonimo Broken Social Scene e segue in maniera coerente tutto ciò che caratterizza la band: una via personale al pop-rock, ricca di contaminazioni e percorsi inconsueti . La prima impressione che fornisce l'album è eccellente, la confezione scintillante, gli arrangiamenti ammirevoli. Ma la successione degli ascolti evidenzia una mancanza sorprendente: le canzoni. Infatti se la sovrastruttura produttiva è splendida e mirabile per varietà e ricchezza non altrettanto si può dire delle composizioni, prive di significativi spunti melodici e finanche un po' piatte. Ogni tanto sembra addirittura che la canzone sia stata composta velocemente solo per poi poterla produrre in grande stile. Dubito che sia così, anche se sarebbe una lettura affascinante. E anche una buona spiegazione all'altrimenti deludente mancanza di idee melodiche. Anche se All to All è un gran pezzo e sicuramente l'episodio più riuscito dell'album: ascoltate sia la canzone che la produzione, meritano.
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Black Mountain - In The Future, hard-rock da sorseggiare [4/5]

By martchelo on giovedì, agosto 19, 2010

Io ho una netta predilezione per le canzoni brevi, incisive, ammiro la capacità di sintesi di chi riesce a dire tutto ciò che deve nel minor tempo possibile, evitando di annacquare gli spunti brillanti. I Black Mountain, formazione canadese (ma quante band sforna il Canada!?) giunta al secondo album, non brillano certo per concisione (Bright Light, ad esempio, dura 16 minuti...), tuttavia In The Future mi ha incuriosito lo stesso.
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Arcade Fire - Suburbs, epica disperazione e un'inedita leggerezza [giudizio: 4/5]

By martchelo on mercoledì, agosto 18, 2010

Se mai nella vita dovesse capitarvi di creare un capolavoro, come capitò agli Arcade Fire con l'album d'esordio Funeral, c'è una cosa che dovete assolutamente evitare: cercare di replicare quella magica formula, tentare di ricreare la naturale perfezione di un momento irripetibile. Se Neon Bible, peraltro ottimo secondo album della band canadese, in parte ha corso questo rischio ciò invece non accade con Suburbs, il loro terzo sospirato album.
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Shearwater - Rook, se soffrite d'insonnia avete trovato la soluzione

By martchelo on lunedì, agosto 16, 2010

Giunti al quinto album gli Shearwater si sdoganano del tutto dagli Okkervil River, dei quali sono una costola visto che Jonathan Meiburg e Will Sheff provengono proprio dalla band texana. I punti di contatto tra i 2 gruppi, com'è ovvio, non mancano ma va detto che gli Shearwater evidenziano un'autonomia creativa che li rende diversi e degni d'essere considerati come un progetto vero e proprio e non un passatempo dopolavoristico.
Rook è caratterizzato da sonorità acustiche, ritmi lenti e una voce esile e acuta che rimanda ai Radiohead ma anche a Antony.
Dicevo che i ritmi sono lenti, ma forse farei meglio a dire lentissimi, tali che quando (molto raramente) gli Shearwater emettono suoni non flebili ci si sveglia allarmati di soprassalto.
Rook è un disco di genere, adatto a chi non cerca forti emozioni ma piuttosto un album che sia un fedele compagno di viaggio; anche se sul depresso andante.
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Wild Beasts, Limbo, Panto e Two Dancers, quel raffinato alt-pop che facilita lo sbadiglio

By martchelo on lunedì, agosto 16, 2010

Che cosa ingenerosa e sbrigativa, riunire due album in un unico post. Forse i Wild Beasts, band inglese formatasi nel 2006, non meritano tale trattamento. La formazione guidata dall'acuta voce simil-Antony del cantante Hayden Thorpe, tanto caratterizzante da risultare potenzialmente fastidiosa (nel mio caso togliete pure il potenzialmente), propone un alt-pop raffinato e intellettualoide, senza peraltro dimenticare di citare a sprazzi il pop inglese anni 80 nel tentativo di fare breccia nelle orecchie e nel cuore dei potenziali fan.
Limbo, Panto, il primo album e Two Dancers sono 2 capitoli di un unico discorso che ha l'indubbio pregio di svilupparsi in crescendo: Two Dancers è musicalmente più ricco (di elettronica) e maggiormente interessante da un punto di vista armonico e compositivo rispetto al primo lavoro.
Siamo di fronte a lavori di buon livello, più o meno generalmente molto apprezzati (in rete troverete sempre, tra l'altro, il parallelo, a mio avviso discutibile, con gli Smiths) e nei quali è evidente lo sforzo creativo e il tentativo di percorrere una via originale e personale al pop.
Nel mio caso però, più che la passione scatta lo sbadiglio.
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Yacht - See Mystery Lights e la normalità del pop alternativo

By martchelo on venerdì, agosto 13, 2010

Gli Yacht sono una creazione dell'americano Jona Bechtolt, un non-famoso personaggio della scena alternativa, impegnato anche in altri progetti, nessuno dei quali di particolare successo.
See Mystery Lights è il primo album degli Yacht e si colloca nell'affollato scenario alt-pop, un mondo in cui la regola è riscrivere le regole dell'easy listining mescolando facili melodie, elettronica, sperimentazione soprattutto negli arrangiamenti, stramberie e groove che spaziano dalla disco al rock.
E' un mondo curioso, perchè al primo ascolto fornisce l'impressione di essere fortemente innovativo e invece è abbastanza stereotipato, un po' come se tutti avessero percorso già tutte le strade e alla fine si ritrovassero a suonare in maniera simile.
Basta questo per capire che gli Yacht non hanno nulla che li faccia distinguere o emergere, sono purtroppo facilmente confondibili con molti altri.
See Mystery Lights non è un brutto album (al suo interno ci sono buone canzoni, come The Afterlife ad esempio) ma passa senza lasciare grandi tracce di sé e della sua alt-normalità.
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Wild Nothing - Gemini, perchè ascolto queste cose?

By martchelo on giovedì, agosto 12, 2010

Questi Wild Nothing li ho conosciuti grazie (si fa per dire) alla Bibbia Pitchfork. Esaltati come spesso capita a molti gruppi misconosciuti, si trovano, proprio grazie alle critiche favorevoli, di fronte ad ascoltatori (io, nella fattispecie) con aspettative piuttosto alte.
Sinteticamente mi sento di dire: mah...
Gemini, album di debutto dei Wild Nothing è un lavoretto grazioso e incolore, affettuosamente devoto ai suoni anni 80, popolato da un pop esile esile cantato senza particolare talento dal leader Jack Tatum.
I Wild Nothing non hanno fatto nulla per meritare giudizi particolarmente severi, ma Gemini è un album indubbiamente perdibile.
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Wolf Parade - EXPO 86, il rapido declino di una band promettente [2/5]

By martchelo on mercoledì, agosto 11, 2010

Attendevo il terzo album dei Wolf Parade con preoccupata curiosità. Se l'esordio del gruppo guidato da Spencer Krug e Dan Boeckner, ovvero lo spendido Apologies to the Queen Mary, era stato fulminante, non altrettanto si può dire di At Mount Zoomer, buon lavoro del 2008, ma privo dello straordinario estro del primo album.
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Max Gazzé - Quindi? Lunga vita a Max (anche se ci ha un po' deluso) [3/5]

By martchelo on venerdì, luglio 23, 2010

Max Gazzé non è un artista banale, ha costruito la sua brillante carriera su solide basi musicali, su un senso della melodia originale e una costante ricerca di un percorso personale senza peraltro cadere nel tranello delle stranezze fini a se' stesse. Quindi? è il suo settimo album ed esce a due anni di distanza da Tra l'aratro e la radio. E' difficile dopo 7 dischi e 14 anni che un'artista abbia qualcosa di nuovo da dire e Max Gazzé (ahimè) non fa eccezione. Non aspettatevi quindi novità sostanziali o idee folgoranti: Quindi? è un album maturo e consapevole, più intimo e riflessivo che frizzante, giocato su ritmi lenti tranne qualche eccezione, compresa una curiosa incursione nel funk.
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Band Of Horses - Everything All the Time, un esordio fulminante [5/5]

By martchelo on venerdì, giugno 25, 2010

Anno 2006, 2 anni dopo la formazione, i Band of Horses pubblicano il loro primo album: Everything All the Time. La band di Ben Bridwell e Mat Brooke (entrambi alla voce e chitarra) propone una personale miscela indie di rock, folk con anche qualche vaga eco country. La misura e l'equilibrio delle canzoni, lo stile vocale sobrio ma personale, la classe che trasuda da ogni brano: tutto ciò fa di Everything All the Time un album bellissimo.
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Band Of Horses - Infinite Arms, ritrovarsi, riconoscersi in parte ed amarsi lo stesso [4/5]

By martchelo on mercoledì, giugno 16, 2010

Che bello ritrovarsi, soprattutto se non ci si vede da un po' di tempo. Il terzo album dei Band Of Horses è anche il primo di cui scrivo su Manta Ray, e questa è una mia grave colpa. Everything All The Time e Cease To Begin erano 2 grandi album, intimi e melodici, arricchiti da qualche brano straordinario (The Funeral, ad esempio) e sempre splendidamente sotto-traccia.

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The Dead Weather - Sea of Cowards [4/5] Jack White e Alison Mosshart viscerali e divertiti

By martchelo on mercoledì, maggio 26, 2010

A un anno di distanza dal fortunato debutto Horehound, i Dead Weather tornano alla ribalta con un nuovo lavoro. Sea of Cowards vede la formazione guidata da Alison Mosshart e Jack White ribadire e sviluppare il percorso musicale intrapreso col primo album.
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The New Pornographers - Together, gradevole ma manca un po' di energia [3/5]

By martchelo on martedì, maggio 18, 2010

Quinto album per i New Pornographers, band canadese ad oggi capace di sfornare un paio di album straordinari, Mass Romantic e Twin Cinema. Il loro precedente lavoro, Challengers, è di 3 anni fa e, senza essere straordinario, fu un buon album anche se non ebbe particolari riscontri. Cosa attendersi da Together è un bel dilemma.
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The National - HighViolet, tra epica e sogno [4/5]

By martchelo on venerdì, maggio 14, 2010

Arrivare al quinto album è motivo di soddisfazione nel vorticoso usa-e-getta-la-band che caratterizza l'industria musicale. Certo aiuta essere a lato del sistema, smaccatamente indie e slegati dalle logiche dell'apparire. I National sono un gruppo manifesto della musica intimista e alternativa, morbidi e veementi allo stesso tempo. Ma anche alle prese con un bel problema.
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Okkervil River - Down The River of Golden Dreams, country-folk poco indie [giudizio: 2/5]

By martchelo on mercoledì, maggio 12, 2010

Il secondo album degli Okkervil River, band texana, apprezzato e celebrato da gran parte della critica indie, a me non è piaciuto granchè. Down The River of Golden Dreams è un album che ribadisce tutto ciò di buono e meno buono che già conosciamo degli Okkervil River. Le atmosfere indie-folk, spesso acustiche, questa volta sono accompagnate da influenze country più evidenti che in passato mentre le sferzate rock che caratterizzano album come Black Sheep Boy cedono il passo ad atmosfere più intime: nel complesso le ballate prevalgono sul resto fino a comporre un quadro più tradizionale che indie, in cui l'inusuale viene emarginato a favore di sonorità più classiche.
Down The River of Golden Dreams non è un brutto album ma mi ha deluso, gli Okkervil River hanno lasciato tutta o quasi la loro energia a beneficio di un sound intimista che non colpisce più di tanto, poco originale né dotato della classe necessaria per fare la differenza. It Ends With a Fall.
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The White Stripes - Under Great White Northern Lights, la strepitosa (auto)celebrazione live di una band imperdibile

By martchelo on martedì, maggio 11, 2010

Dieci anni di musica meritano un'adeguata celebrazione. Jack e Meg White, i marito-e-moglie fratello-e-sorella in-realtà-solo-amici-oramai, si regalarono nel 2007 una tournée stravagante, periferica e straordinaria in ogni remoto meandro del Canada. Nel bellissimo film Under Great White Northern Lights realizzato da Emmett Malloy vediamo i White Stripes suonare in ogni dove e in ogni modo: nella piazza di un piccolo paese, su una barchetta, in un bowling, in una baita, in un'ospizio... ma anche in location più consone al loro status, come il Savoy Theatre a Glace Bay, in Nova Scotia (cosa che peraltro le cornamuse chiariscono senza ambiguità).
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Okkervil River - Black Sheep Boy, freschezza e maturità [giudizio: 4/5]

By martchelo on giovedì, maggio 06, 2010

Nel 2005 gli Okkervil River pubblicarono Black Sheep Boy, il loro terzo album. La band formatasi nel 1998 in Texas si inserisce naturalmente nel ricco filone indie-folk, con rimandi sia rock che, seppur più blandi, country. Nella musica degli Okkervil River si trovano elementi che rimandano a Wilco e National ma anche EELS e Arcade Fire, solo per nominarne alcuni.
Black Sheep Boy è forse il loro lavoro più riuscito, in cui freschezza e maturità si bilanciano perfettamente. Il sobrio alternarsi di dinamiche rock e intimità acustica caratterizza fortemente il suono degli Okkervil River, bravi e disinvolti nel distillare atmosfere e ritmi differenti senza perdere di vista l'armonia complessiva dell'album, quello per cui ogni brano è un pezzo di un unico puzzle (che metafora, eh!?).
Gli Okkvervil River sono un ottimo gruppo, anche se non straordinario, hanno composto alcuni brani straordinari (ascoltate For Real) e non hanno grandi punti deboli. La scrittura dei brani è di ottimo livello, gli arrangiamenti validi e il risultato sempre gradevole: Black Sheep Boy merita di essere ascoltato.
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Black Francis - Nonstoperotik, gradevolmente scialbo

By martchelo on lunedì, maggio 03, 2010

"Finalmente è tornato, il mio ciccione adorato". Perdonate questo inizio con rima baciata, ma Black Francis merita un trattamento speciale. Il leader dei Pixies (che verranno il 6 giugno in Italia, unica data a Ferrara, da non perdere!) è giunto al suo quattordicesimo album solista, sia pure variando un po' il nome d'arte (in passato si faceva chiamare Frank Black) e i compagni di viaggio (vedi i Catholics ad esempio). La vita artistica post-Pixies del genio oversize di Boston è sempre stata difficile, costantemente alle prese coi paragoni col passato Black Francis ha composto un'impressionante mole di canzoni e ha percorso strade assai differenti tra di loro senza mai, purtroppo, riuscire a scrollarsi di dosso l'ingombrante ombra dei Pixies.
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Arcade Fire - Funeral, un capolavoro! [giudizio: 5/5]

By martchelo on mercoledì, aprile 28, 2010

Se c'è una cosa che adoro è essere sorpreso, smosso dalla routine musicale e proiettato in dimensioni nuove e diverse. Il bello del mondo indie sta nella sua pressoché totale assenza di regole, nella grande libertà creativa. E talvolta capita che il vasto e sommerso mondo alternative produca fenomeni clamorosi, punti di riferimento e svolta per l'intero scenario musicale.
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MGMT - Congratulations, i giovani saggi [3/5]

By martchelo on venerdì, aprile 23, 2010

Maturazione e invecchiamento sono 2 facce della stessa medaglia, anche se possono esistere l'una indipendentemente dall'altra: esistono dei vecchi stolti così come dei giovani saggi. I MGMT, una band formata da 2 musicisti americani under 30, ambiscono a rientrare nella seconda categoria. Sorprendendomi non poco.
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